Associazione di volontariato Idra
iscritta al Registro Regionale del Volontariato della Toscana
per la promozione e la tutela del patrimonio ambientale e culturale
Via Vittorio Emanuele II 135, 50134 FIRENZE (incontri aperti alla cittadinanza il lunedì alle 21.30)
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Firenze, 19.9.'01
Al Console generale degli Stati Uniti d'America a Firenze
Daria M. HOLLOWELL
APPELLO
Gentile Console,
Le scriviamo per trasmetterLe in primo luogo l'espressione dei nostri sentimenti di dolore e di orrore per le impressionanti conseguenze di morte e di afflizione sociale che hanno provocato i tragici attentati dell'11 settembre scorso a New York, a Washington e a Pittsburgh. Non possiamo che associarci a coloro che considerano questi atti un attacco all'umanità.
L'associazione di volontariato fiorentina Idra sente tuttavia il dovere di prendere posizione sulla questione, grave e urgente, della risposta che si ritiene di dover dare a quegli attentati.
Attingendo al fondo di valori morali, sociali e ambientali che ispirano la sua azione quotidiana, l'associazione (che da anni si batte con metodologie nonviolente per la legalità, la democrazia, la trasparenza e il buon governo della spesa pubblica) desidera rendere nota e motivare la propria indisponibilità a condividere scenari di guerra, comunque definita: 'nuova' o 'giusta’. Idra non considera infatti che la guerra sia una risposta corretta al massacro provocato dagli attentati dell'11 settembre sul suolo statunitense. Il pur ingente impatto umano e simbolico di quelle aggressioni, per il quale nessuna pietà umana potrà avere braccia abbastanza larghe, non può giustificare, secondo Idra, una risposta simmetricamente barbara.
A sostenere il teorema della guerra come soluzione al substrato di sofferenze, disperazione e violenze che ha nutrito questa e altre azioni suicide in diversi scenari, sembra essere la stessa impalcatura emotiva, culturale e giuridica che rende tuttora possibile e praticata negli U.S.A. la pena di morte. L'attuale domanda di guerra ci pare somigliare, per come nasce e per come si sviluppa, a una spinta alla pena di morte estesa alle relazioni internazionali, che minaccia al tempo stesso soggetti responsabili e popolazioni civili incolpevoli.
Dal Paese di Cesare Beccaria, ci piace tornare a richiamare le parole di civiltà da lui pronunciate nel XVIII secolo, pochi anni prima della Dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti d'America, a proposito dell'inutilità e dell'inefficacia della pena di morte comminata dallo Stato. La pena capitale è "una guerra della nazione con un cittadino (…) Non è utile (…) per l'esempio di atrocità che dà agli uomini. Se le passioni o la necessità della guerra hanno insegnato a spargere il sangue umano, le leggi moderatrici della condotta degli uomini non dovrebbono aumentare il fiero esempio, tanto più funesto quanto la morte legale è data con istudio e con formalità. Parmi un assurdo che le leggi che sono l'espressione della pubblica volontà, che detestano e puniscono l'omicidio, ne commettono uno esse medesime, e, per allontanare i cittadini dall'assassinio, ordinino un pubblico assassinio". Beccaria considerava la guerra una possibile per quanto brutale "necessità". Ma cos'è oggi il consorzio umano planetario, su questa soglia globalizzata del terzo millennio, se non un solo grande organismo, che ha appunto il compito di cominciare a venire a capo delle atrocità dei singoli, dei gruppi e persino degli Stati evitando innanzitutto di affidare ai propri organi istituzionali democratici il compito di commetterne a sua volta in ritorsione, legalmente? Di fronte alla condanna a morte pronunciata da un organo pubblico che debbono pensare gli uomini?, si domandava Beccaria. E si rispondeva: "Ah!, diranno essi, queste leggi non sono che i pretesti della forza". A cosa equivarrebbe del resto oggi una guerra di ritorsione, se non a una condanna a morte istituzionalizzata a scala mondo?
Non possiamo poi restare indifferenti, gentile Console, alla cornice ideologica nella quale si situano certi appelli alla guerra in queste ore. Le contrapposizioni fra un 'regno del Male' e un 'regno del Bene', di cui leggiamo sulle cronache, appaiono essere residui pre-moderni di una concezione manichea della storia e della società che difficilmente può ricevere cittadinanza in un'opinione internazionale laica e liberale matura. Per di più, possono forse gli U.S.A. e l'Occidente pretendere di possedere il monopolio del Bene, tenuto conto delle gravi sofferenze inflitte nel corso della storia recente all'umanità tutta e a sé stessi? Che dire dei contributi terribili dati alla 'civiltà' in Europa dai pogrom, dai fascismi, dai campi di sterminio? Contro l'intolleranza e le dittature, altissimo è stato - proprio sul suolo europeo - il prezzo in vite umane pagato dal popolo statunitense nel corso dell'ultimo conflitto mondiale. Molti di quei caduti riposano oggi nei nostri cimiteri di guerra. Ma crediamo sia bene non dimenticare anche eventi-simbolo di distruzione delle popolazioni civili e delle risorse ambientali come il napalm sul Vietnam, il fuoco radioattivo su Hiroshima e Nagasaki, le bombe su Dresda nel '45, il quasi-genocidio degli indiani d'America, il massacro reciproco della guerra di secessione. Sono solo gli ultimi 140 anni della nostra storia.
Sempre in queste ore già si contano le prime vittime di massa della "nuova guerra" combattuta ancora solo sui media: sono sotto i nostri occhi le decine di migliaia di nuovi profughi costretti dal terrore ad abbandonare in Afghanistan le proprie terre.
E infine, è forse solo la guerra che uccide la gente? Quanta disperazione e miseria producono nel mondo le 'leggi del mercato', di cui beneficia solo la parte ricca del nostro Occidente?
Noi siamo convinti, gentile Console, che gli USA e l'umanità abbiano a disposizione ben altri strumenti e valori per combattere in modo efficace e credibile i focolai di violenza internazionale. Strumenti e valori che hanno a che fare con la solidarietà sociale, con il rispetto culturale, con la difesa della dignità degli uomini a tutte le latitudini, con la promozione delle economie locali e della conservazione delle risorse ambientali. Qui c'è davvero molto ancora da realizzare. La strada della guerra, invece, può innescare reazioni a catena imprevedibili in una massa critica di conflittualità internazionali già drammaticamente vicina ad essere raggiunta. Certamente, i responsabili e i mandanti degli efferati crimini di New York, Washington e Pittsburgh dovranno essere perseguiti e consegnati alla giustizia. Alla giustizia, appunto, non alla morte. Ottenere questo risultato con i mezzi previsti dal diritto internazionale costituirebbe a nostro avviso per gli USA e per l'Occidente un autorevole esempio di rispetto della legalità davanti al consesso delle nazioni. Che romperebbe la spirale della violenza e rappresenterebbe, in concreto, l'arma migliore per minare - alla radice dell'odio - i consensi all'azione terroristica.
Ci siamo permessi di indirizzarLe rispettosamente queste nostre riflessioni spinti dall'urgenza che pongono a ogni cittadino del mondo gli scenari sempre più cupi di questi giorni. Le saremo grati se Ella vorrà accordarci un incontro nel corso del quale poterLe circostanziare meglio le ragioni delle nostre preoccupazioni, perché Ella possa farsene latrice, come noi auspichiamo, presso il Governo e l'opinione pubblica del Suo Paese.
ConfermandoLe il nostro profondo sentimento di vicinanza al dramma del popolo statunitense,
il presidente Girolamo Dell'Olio
il vicepresidente Giuliana Bianchi
il vicepresidente Pier Luigi Tossani